Stefano Ciffo, tu sei Producer e Direttore di Produzione. Hai una decennale esperienza maturata nel mondo dello spettacolo e della televisione. Hai collaborato con importanti emittenti televisive come Rai, Mediaset e Sky. Come è cambiato il modo di fare televisione in questo periodo di emergenza Covid?
Il mondo della tv è cambiato soprattutto nei primi mesi di pandemia, a discapito di programmi di entertainment che hanno visto uno stop della produzione di programmi con esterne e privilegiando una situazione più coperta e sicura in studio eliminando il pubblico (vedi Grande Fratello, live Non è la d’Urso.) Per contro invece si è vista una massiccia diffusione di programmi di attualità e news. Da maggio la situazione si è stabilizzata e sono ricominciate tutte le produzioni con dei protocolli di sicurezza ben specifici per la crew. Nella stagione estiva c’è stato un rifiorire di nuove produzioni, con la corsa irrefrenabile per registrazioni prima della seconda ondata, e per la programmazione dei vari palinsesti autunno/inverno.
Hai lavorato molto anche all’estero, soprattutto negli Stati Uniti in qualità di Local Fixer e location manager. In che misura ti è stata utile questa esperienza e in che cosa differisce il sistema televisivo americano rispetto a quello italiano in termini di produzione e organizzazione?
Bellissima esperienza lavorativa e di vita quella che mi ha portato in America: un bagaglio che porterò dietro per sempre. Lo schema lavorativo lì è molto più rigido e suddiviso in settori ben distinti nell’organizzazione produttiva, così che ogni reparto abbia la sua persona di riferimento. La scuola Americana punta molto fin dall’inizio sull’aspetto pratico, invece quella italiana è più vic犀利士
ina alla teoria e all’artisticità del prodotto finale, più che all’aspetto commerciale e di vendita.
Come effetto di questa fase di emergenza sanitaria sembra essere aumentata l’attenzione dei telespettatori nei confronti delle piccole emittenti televisive locali. Cosa offrono di più rispetto alle reti nazionali?
Nel primo periodo di lockdown l’attenzione degli spettatori si è rifugiata nelle reti locali, che giornalisticamente raccontavano la situazione locale. Interessanti sono le dirette televisive giornaliere con i governatori regionali, con migliaia di telespettatori, e con un segno di quasi ritualità, nella giornata del cittadino in quel periodo. L’interesse era molto elevato a cosa succedeva nel territorio sotto casa invece che nel nazionale.
Quali sono i programmi televisivi sui quali punta la televisione in questo particolare momento?
In questo momento i palinsesti nel periodo del primo lockdown erano basati sull’ attualità, attualmente nella seconda ondata si pensa ad un programmazione di varietà e di intrattenimento, per dare una spinta di gioia e felicità in questo momento delicato del paese. Uno studio ha mostrato un aumento di casi di ansia e depressione, per questo si è visto che i vari palinsesti sono indirizzati a una nuova ventata di intrattenimento, con tutte le difficoltà di realizzazione.
A parer tuo, di questa nuova modalità di fare televisione, che ha incentivato maggiormente l’uso della tecnologia, cosa rimarrà una volta sconfitto il coronavirus?
Rimarrà una grande spinta e volontà di rinascita. Il mondo della tv non si è fermato, ma trasformato per rimanere vivo ed operativo anche in questo momento. Fa riflettere come in assenza di un conduttore a casa per il virus sia stato possibile farlo arrivare comunque in trasmissione in modo originale tramite uno schermo a forma di viso ma collegato da casa, o come Gerry Scotti che in quarantena ha fatto il giudice lo stesso collegato da casa tramite un led wall . Programmi di attualità che fanno collegamenti con gli ospiti tramite Skype o videochiamate. Questo sicuramente rimarrà perché è una soluzione molto comoda a livello logistico e sono sicuro che col tempo miglioreranno anche i mezzi per effettuare queste “ospitate” a distanza con una qualità video e audio sempre maggiore.